1984: la mia strada verso l'informatica
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1984: la mia strada verso l'informatica

Domenica 07 Dicembre 2014
Alessandro Giuliani

Era il 1984, frequentavo la quarta ragioneria e la passione per l'informatica mi aveva pervaso più di ogni altra cosa. Passavo tutto il mio tempo libero a casa di Andrea Benoni, a cercare di capire, senza grandi risultati, quello che lui faceva a computer.

Scavando tra i miei ricordi focalizzo ancora oggi le righe di codice in assembler per realizzare una routine di fill. In pratica, disegnato un poligono, il programma doveva eseguirne il riempimento.

Erano le serate dove il massimo del divertimento era quando io ed Andrea andavamo al Verona Food, ovviamente con computer e stampante, per  elaborare l'oroscopo degli avventori. La stampante produceva gli oroscopi in diretta, davanti ad un sacco di gente che faceva la coda per ottenere il proprio: fu un successo strepitoso.

All'epoca non esistevano ancora i colori, il mondo dell'informatica era rigorosamente monocromatico: il monitor poteva essere o verde o ambra e le stampanti erano ad aghi. 



Una sera, entrato a casa sua, mi fece vedere il suo ultimo acquisto: un fiammante e fantastico Macintosh. Mi disse: vorrei vendere il mio Comp ][e, ti interessa?.

In famiglia, di fronte all'evidenza, capii che quel computer non sarei riuscito ad ottenerlo, neppure dopo aver garantito la mia promozione, in quinta, con tutti sette. In effetti, 3.000.000 di lire, per computer e una marea di accessori (tra qui un incredibile Koala Pad) erano veramente troppi per la mia famiglia. Poi successe una cosa. Mio padre uscì in motorino e un'auto gli tagliò la strada. Non si fece molto male ma qualche mese dopo l'assicurazione pagò i danni.

E qui il destino ci mise lo zampino, perché il rimborso a mio padre fu esattamente la cifra che serviva a me per acquistare il computer.

Dovetti impegnarmi un po' di più per riuscire a mantenere la promessa che avevo fatto e passai l'anno con tutti sette, tranne un sei in economia aziendale, compensato da un otto in geografia. Mio padre ancora oggi sottolinea che la mia promessa non fu la media del sette, quanto quella di ottenere tutti sette, ma questo fu un dettaglio abbastanza facile da negoziare.

In quinta ragioneria ragazze e festicciole non erano certamente la mia priorità e le domeniche le passavo a computer. Conobbi un ragazzo, Marco P., con il quale condivisi parecchie esperienze informatiche. Un giorno andammo a Milano, in treno, allo SMAU. In quegli anni lo SMAU era l'unica e più importante fiera del settore informatico, all'epoca comunque agli albori. La fiera richiamava migliaia di visitatori, da tutto il mondo, e Taiwan era in prima fila in merito alla proposta di tecnologia. Erano i tempi d'oro di IBM, di MS-Dos, di Olivetti, dei compatibili, degli sfavillanti Mac.

Entrammo in fiera con un borsone rosso 'Judokai' pieno zeppo di floppy disk da 360Kb. Nel questionario all'ingresso, nelle aree di interesse, barrammo le caselle 'duplicazione' (loro intendevano i fotocopiatori) e 'software': eravamo lì per fare i pirati di software, ovviamente per uso personale, e addirittura lo dichiarammo! I nostri interessi erano principalmente gli stand pieni di Apple ][, equipaggiati con Locksmith un programma per copiare floppy disk, in pochi minuti. Locksmith era incredibile, copiava praticamente tutto, anche il software protetto.

Passammo tutto il giorno a copiare floppy disk, soprattutto giochi, visitando gli stand come due bulli e rientrando a casa carichi di documentazione, di gadget e di nuovo software. Ricordo che all'uscita una guardia ci fermò, per chiederci cosa avessimo nel borsone rosso, stracolmo di floppy. Fu dura fargli capire che era roba nostra e che non avevamo rubato nulla.

Un giorno mio padre volle farmi una sorpresa. Lavorando come operaio all'AGSM, l'azienda del gas di Verona, organizzò infatti una visita al Ced (centro elaborazione dati) e un colloquio con il capo reparto, un suo amico. In pratica, vista la mia passione, mi aveva già 'raccomandato' affinché andassi lavorare, dopo la maturità, in quell'azienda.

Non ho un bel ricordo di quella visita, la mia memoria mi propone immagini di uffici bui, videoterminali stupidi, enormi stampanti ad aghi. Non vidi nessun personal computer, in effetti le aziende consideravano quel tipo di informatica come un'innovazione inutile, destinata al mercato home: per le aziende si parlava di mainframe, di video terminali, di Unix. Ricordo che uscii da quell'ufficio amareggiato, convinto che quello non potesse essere il mio futuro. Dissi a mio padre: Mi dispiace, non voglio lavorare lì, quel posto è orribile e incredibilmente preistorico. Io voglio mettermi in proprio, voglio fare l'imprenditore.

Fu lì che iniziai a coltivare la mia idea di aprire un'azienda, anche se le prospettive non erano certamente rosee. Non provenivo da una famiglia di imprenditori e quella mia idea fu bollata come irrealizzabile, un fantasia farneticante di un giovane ragazzo. Non ne parlai con nessuno al di fuori della mia famiglia e tenni l'idea per me, in attesa di vedere cosa il destino mi avrebbe riservato per il futuro.

Mi presentai agli orali degli esami di maturità il 29 giugno del 1984, la mia prima materia fu geografia, la seconda ragioneria. Erano gli anni in cui si portavano due prove scritte e due prove orali. Nell'orale la seconda materia poteva essere cambiata dalla commissione e ricordo che ragionai di strategia e rischiai parecchio. La mia passione per l'informatica, non mi lasciava infatti il tempo di studiare tutte le materie, in particolare l'italiano. Quell'anno ricordo che non comprai neppure il libro di antologia della letteratura, il famoso Pazzaglia e mi arrangiai con un Bignami. Tutto sommato feci un buon esame, la valutazione fu di 48/60.

Il pomeriggio di quel giorno, ricordo che andai in città, per fare un giro. Mio padre mi aveva chiesto di andare a parlare con un suo amico, Daniele Perboni, il cui figlio andava a Judo nella sua palestra. Lavorava in Armufficio, in Via Marconi, un'azienda di mobili e macchine per ufficio che aveva da poco attivato anche la parte informatica.

Entrai e chiesi se potevo andare a lavorare lì, anche gratis, per imparare il mestiere. In pratica volevo andare a bottega, visto che a breve sarei partito per la leva obbligatoria, e avrei potuto imparare qualcosa che avrebbe potuto essermi utile per la mia vita. Gianni Arvati, il titolare, ascoltò quello che avevo da dire e mi disse: puoi iniziare da domani!




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